Associazione Culturale Aristocrazia Europea

venerdì 10 gennaio 2014

La Marchesa Amalia Litta Modignani, autentica Dama della Carità...


Addio alla «marchesa Lia»:  mondanità al servizio della carità

Amalia Litta Modignani aveva 97 anni. Elegante ed eccentrica, ha legato il suo nome alla sanità milanese

IL RICORDO di GIACOMO VALTOLINA – CORRIERE DELLA SERA                               

All’uscita dalla Scala, elegantissima, inforcava la bicicletta per andare in pronto soccorso dai malati. Come una «contrabbandiera» a bordo di un auto di lusso, importava dalla Svizzera i farmaci antirigetto all’epoca dei primi trapianti. Al Policlinico, dove hanno intitolato un padiglione a suo nome, nei ‘50 organizzava spettacoli di prostitute ammalate di sifilide. «Sono la volontaria di tutti» diceva. Era la marchesa «Lia», carismatica, determinata, anche prepotente se necessario. Istituzione della Milano solidale. Rispettata e temuta. Pazienti, medici, politici, grandi industriali, prelati, potenti. Tutti le aprivano la porta, le obbedivano, le erano grati. È morta lunedì, stroncata da un ictus all’età di 97 anni, la marchesa Amalia Litta Modignani, detta Lia.

Medaglia d’Oro al merito ricevuta dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi e innumerevoli altre onoreficenze. Negli anni da presidente della «Commissione dei visitatori e visitatrici dell’Ospedale Maggiore Ca’ Granda» (ente costituito nel 1887 come un «gruppo di signori e signore da affiancare al personale sanitario») ha inventato il servizio di assistenza sociale negli ospedali, mettendo sempre «soldi e potere» a disposizione dei più deboli senza tuttavia mai rinunciare a divertirsi. Tanto che si dice fosse lei ad organizzare le più belle feste in città. Nata a Busto Arsizio nel novembre del 1916, nome di famiglia Felli, industriali del tessile, visse a Como fino al matrimonio con Giovanni Camillo Litta Modignani. Verrà ricordata come la marchesa «champagne e carità», divisa tra volontariato e mondanità, nella sua residenza, Palazzo Durini, che fu lei a far ricostruire dopo la guerra. Eccentrica, indossava senza distinzione di occasione tacchi alti, gioielli e abiti coloratissimi.

«Qualche mese fa - racconta il suo braccio destro in Commissione, Beatrice Pistolesi - la incontrai perché aveva rotto il secondo femore. Mi ammonì subito: “Non sei truccata”. Cercai di giustificarmi... lei m’interruppe: “Ma hai un vestito spiritoso, brava”. Era così, attenta alla forma». Ma soprattutto ai contenuti. Baluardo anti burocrazia e contro la politica nella sanità, quando c’era da risolvere un problema le bastava presentarsi senza appuntamento per essere ricevuta. Da Enrico Cuccia come da Giulio Andreotti. E se c’era da comprare un macchinario all’avanguardia, come nel caso di Massimo Del Bo, il padre dell’audiologia italiana, le bastava alzare la cornetta, chiamare un industriale e pagare, rigorosamente in contanti. Perché a questo serviva la sua rete di contatti, la sua esistenza mondana, la sua conoscenza dei «poteri forti» di cui non aveva timore alcuno né riverenza. A raccogliere donazioni.

Ogni vicenda di sanità nel Dopoguerra s’intreccia con la sua figura. Una vita dedicata al volontariato - anche amministrativo, tanto che veniva mandata a visitare le migliori strutture del mondo per conto degli ospedali - la marchesa Litta incarnava lo spirito dei grandi benefattori tipico dell’alta borghesia e della nobiltà milanesi.Un’autorevolezza che lei, anticomunista convinta, non perdeva neppure durante i picchetti del ‘68, con pure i manifestanti a dire: «Lasciate passare la marchesa». Racconta Pistolesi: «Era al di sopra di tutti, quasi gestiva lei i padiglioni dell’ospedale». Donna dura che sapeva essere dolcissima. «Attenta ai giovani e alle loro carriere, mi stanno arrivando tante condoglianze». Una «nonnaccia» la definisce con affetto uno dei nipoti Eugenio, «una donna di carattere», secondo Isa e Jenny, due delle tre figlie rimaste in vita, dopo che qualche mese fa è morta Cristina, colei che l’aveva sostituita alla Commissione, uccisa da un tumore.

E c’è chi giura che non ci sia casualità, che la marchesa, rimasta lucida fino all’ultimo, abbia in qualche modo scelto di lasciarsi andare, per raggiungere la figlia seppellita anzitempo. Donna di grande fede, ortodossa, anche in tema di religione non abbassava lo sguardo davanti a nessuno. Come quando dopo il Concilio vaticano II litigò con Carlo Maria Martini. E in chiesa, a voce alta, sfidava i sacerdoti pregando ad alta voce in latino. I funerali saranno celebrati oggi alle 14.45 nella basilica di San Carlo al Corso. «Inviate donazioni, non fiori»: è l’ultima richiesta della famiglia.

http://milano.corriere.it/milano/notizie/cronaca/14_gennaio_09/addio-marchesa-lia-mondanita-servizio-carita-957eedb4-7913-11e3-a2d4-bf73e88c1718.shtml

 

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