Addio alla «marchesa Lia»: mondanità al servizio della carità
Amalia Litta
Modignani aveva 97 anni. Elegante ed eccentrica, ha legato il suo nome alla
sanità milanese
IL RICORDO di GIACOMO VALTOLINA – CORRIERE DELLA SERA
All’uscita dalla
Scala, elegantissima, inforcava la bicicletta per andare in pronto soccorso dai
malati. Come una «contrabbandiera» a bordo di un auto di lusso, importava dalla
Svizzera i farmaci antirigetto all’epoca dei primi trapianti. Al Policlinico, dove
hanno intitolato un padiglione a suo nome, nei ‘50 organizzava spettacoli di
prostitute ammalate di sifilide. «Sono la volontaria di tutti» diceva. Era la
marchesa «Lia», carismatica, determinata, anche prepotente se necessario.
Istituzione della Milano solidale. Rispettata e temuta. Pazienti, medici,
politici, grandi industriali, prelati, potenti. Tutti le aprivano la porta, le
obbedivano, le erano grati. È morta lunedì, stroncata da un ictus all’età di 97
anni, la marchesa Amalia Litta Modignani, detta Lia.
Medaglia d’Oro al
merito ricevuta dal Presidente della Repubblica
Carlo Azeglio Ciampi e innumerevoli altre onoreficenze. Negli anni da
presidente della «Commissione dei visitatori e visitatrici dell’Ospedale
Maggiore Ca’ Granda» (ente costituito nel 1887 come un «gruppo di signori e
signore da affiancare al personale sanitario») ha inventato il servizio di
assistenza sociale negli ospedali, mettendo sempre «soldi e potere» a
disposizione dei più deboli senza tuttavia mai rinunciare a divertirsi. Tanto
che si dice fosse lei ad organizzare le più belle feste in città. Nata a Busto
Arsizio nel novembre del 1916, nome di famiglia Felli, industriali del tessile,
visse a Como fino al matrimonio con Giovanni Camillo Litta Modignani. Verrà
ricordata come la marchesa «champagne e carità», divisa tra volontariato e
mondanità, nella sua residenza, Palazzo Durini, che fu lei a far ricostruire
dopo la guerra. Eccentrica, indossava senza distinzione di occasione tacchi
alti, gioielli e abiti coloratissimi.
«Qualche mese fa -
racconta il suo braccio destro in Commissione,
Beatrice Pistolesi - la incontrai perché aveva rotto il secondo femore. Mi
ammonì subito: “Non sei truccata”. Cercai di giustificarmi... lei m’interruppe:
“Ma hai un vestito spiritoso, brava”. Era così, attenta alla forma». Ma
soprattutto ai contenuti. Baluardo anti burocrazia e contro la politica nella
sanità, quando c’era da risolvere un problema le bastava presentarsi senza
appuntamento per essere ricevuta. Da Enrico Cuccia come da Giulio Andreotti. E
se c’era da comprare un macchinario all’avanguardia, come nel caso di Massimo
Del Bo, il padre dell’audiologia italiana, le bastava alzare la cornetta,
chiamare un industriale e pagare, rigorosamente in contanti. Perché a questo
serviva la sua rete di contatti, la sua esistenza mondana, la sua conoscenza
dei «poteri forti» di cui non aveva timore alcuno né riverenza. A raccogliere
donazioni.
Ogni vicenda di
sanità nel Dopoguerra s’intreccia con la sua figura.
Una vita dedicata al volontariato - anche amministrativo, tanto che veniva
mandata a visitare le migliori strutture del mondo per conto degli ospedali -
la marchesa Litta incarnava lo spirito dei grandi benefattori tipico dell’alta
borghesia e della nobiltà milanesi.Un’autorevolezza che lei, anticomunista
convinta, non perdeva neppure durante i picchetti del ‘68, con pure i
manifestanti a dire: «Lasciate passare la marchesa». Racconta Pistolesi: «Era
al di sopra di tutti, quasi gestiva lei i padiglioni dell’ospedale». Donna dura
che sapeva essere dolcissima. «Attenta ai giovani e alle loro carriere, mi
stanno arrivando tante condoglianze». Una «nonnaccia» la definisce con affetto
uno dei nipoti Eugenio, «una donna di carattere», secondo Isa e Jenny, due
delle tre figlie rimaste in vita, dopo che qualche mese fa è morta Cristina,
colei che l’aveva sostituita alla Commissione, uccisa da un tumore.
E c’è chi giura che
non ci sia casualità, che la marchesa, rimasta lucida fino
all’ultimo, abbia in qualche modo scelto di lasciarsi andare, per raggiungere
la figlia seppellita anzitempo. Donna di grande fede, ortodossa, anche in tema
di religione non abbassava lo sguardo davanti a nessuno. Come quando dopo il
Concilio vaticano II litigò con Carlo Maria Martini. E in chiesa, a voce alta,
sfidava i sacerdoti pregando ad alta voce in latino. I funerali saranno
celebrati oggi alle 14.45 nella basilica di San Carlo al Corso. «Inviate
donazioni, non fiori»: è l’ultima richiesta della famiglia.
http://milano.corriere.it/milano/notizie/cronaca/14_gennaio_09/addio-marchesa-lia-mondanita-servizio-carita-957eedb4-7913-11e3-a2d4-bf73e88c1718.shtml
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